Prima del 26 Luglio 2014 non avevo mai avuto l’idea di come fosse REALMENTE l’Africa…non l’Africa dei villaggi turistici in Egitto o in Tunisia, non l’Africa delle piazze con i sapori speziati del Marocco, nemmeno l’Africa con le spiagge bianche e l’acqua cristallina di Zanzibar o del Madagascar. Avevo visto tanti documentari in televisione, tanti servizi al tg sulla povertà nel mondo, tanti video su youtube di bambini malnutriti senza neanche un po’ d’acqua. Ma poi la tele si spegneva, il tg e il video finivano e io riprendevo il tran-tran della mia vita qui, nel mondo moderno e occidentale in cui sono nata e cresciuta.
Così, appena si è presentata l’occasione ho deciso in pochi giorni di partire, spinta dalla curiosità, dalla voglia di vedere e conoscere posti nuovi, dalla speranza di poter essere utile a qualcuno.
Non avevo neanche il passaporto quando ho deciso di fare questo viaggio, non conoscevo i miei compagni di avventura, non sapevo se sarei riuscita a cavarmela in una situazione così tanto diversa dalla mia realtà.
Ma…sono partita! E non c’era scelta migliore che potessi fare!
Ho visto panorami indescrivibili, ho conosciuto tante persone di nazionalità diverse, ho camminato un pomeriggio intero per raggiungere un orfanotrofio di soli bimbi disabili, ho lavorato nei campi d’Artemisia…ma soprattutto ho potuto toccare con mano cosa realmente significhi non avere la luce, né l’acqua potabile, né un materasso o una casa di mattoni.
Ho faticato, soprattutto i primi giorni, ad adattarmi a quella realtà così diversa e a capirne i meccanismi.
Ho giocato con 33 splendide bambine orfane, che vivono ad Ilula e vanno a scuola grazie all’aiuto economico di qualcuno di “noi”.
Ho conosciuto due fratelli splendidi, con addosso dei vestiti sporchi e strappati, ma con un sorriso che vedo raramente nei bambini italiani.
Ho guardato negli occhi un ragazzino di 13 anni, affetto da poliomielite, che tutti i giorni faceva un sacco di chilometri con le stampelle per andare a scuola: adesso, grazie ad un altro di “noi”, abita vicino alla scuola che frequenta e deve solo attraversare un cortile, potendo così arrivare a scuola in orario e non troppo affaticato.
Ho coccolato ogni momento che potevo una bimba di circa 3 anni che ogni mattina fa 2 km a piedi per andare a scuola con dei sandaletti così distrutti che io, da piccola, non avrei tenuto nei piedi neanche per trenta secondi.
Ho ascoltato la storia di uno studente di medicina che aveva deciso di non fare mai colazione per poter risparmiare e comprarsi così la strumentazione da medico.
Ho chiacchierato con ragazzi tanzaniani che mi chiedevano come fosse possibile che io, donna fidanzata, fossi lì da sola in Tanzania a chiacchierare per la strada con loro!
Sono tantissime le cose che ho fatto e vissuto, potrei scrivere cento e più pagine, ma la cosa che davvero mi ha colpito e mi resterà nel cuore è l’affetto spontaneo, sincero, immediato che ho ricevuto da ogni persona che ho incontrato là, fin dal primo momento in cui sono atterrata in Tanzania.
E lì sì che mi sono sentita in colpa, per non aver mai guardato gli “altri” nel modo in cui sono stata guardata io là, per non aver mai avuto la voglia di conoscere e aiutare realmente queste persone.
Sull’aereo di ritorno, quando da sola ripensavo a tutto quello che avevo vissuto, mi sono promessa di impegnarmi ogni giorno per far sì che quello che ho visto con i miei occhi non sparisse una volta spenta la tv o finito il telegiornale.
Sono nata dalla parte giusta del mondo e, proprio per questo, sento di dover fare qualcosa.
Giulia Mellano